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Discorso di insediamento del nuovo Presidente dottor Diego Cattoni

dott. Diego Cattoni, Presidente AISCAT

L’analisi del presente

Vorrei cominciare questo mio intervento con una domanda: cosa hanno rappresentato e cosa rappresentano oggi, per l’Italia, le autostrade? Molti di voi, legittimamente, saranno sorpresi di questo mio quesito, perché voi tutti ben conoscete l’importanza delle autostrade per lo sviluppo economico e sociale dell’Italia, come del resto d’Europa. Tuttavia, siamo davvero sicuri che questa consapevolezza oggi sia diffusa, che il Paese rammenti di avere nella propria rete autostradale non una delle, ma la principale infrastruttura di collegamento del proprio sistema economico? Non vorrei apparirvi fin troppo realista quando dico che no, questa consapevolezza un tempo diffusa, oggi appartiene solo, e non unanimemente, alla classe dirigente del Paese.

Eppure, negli ultimi vent’anni il comparto autostradale italiano non solo non è stato fermo, ma ha prodotto risultati di eccellenza di livello europeo. In questi anni, abbiamo assistito a una generale riqualificazione della rete autostradale italiana, con lo sviluppo di terze e quarte corsie laddove lo imponevano i volumi di traffico, la tecnologia di riscossione del pedaggio è stata oggetto di notevoli processi di innovazione, ma soprattutto gli interventi in materia di sicurezza attiva e passiva hanno prodotto un netto calo del tasso di incidentalità in un contesto di traffico crescente. Se pure questi elementi non bastassero, c’è un dato difficilmente contestabile: oggi le società autostradali italiane sono i massimi operatori del settore a livello mondiale e questi non sono traguardi che si raggiungono per caso.

Se è opportuno non dimenticarsi chi siamo, è doveroso ricordare a noi stessi anche la realtà che ci fa più male. Il 14 agosto 2018, come tutti sappiamo, è crollato a Genova il ponte Morandi. Abbiamo il dovere di dirlo e ripeterlo sempre: non doveva assolutamente accadere. Si è trattato di un incidente grave, con un bilancio pesante in termini di vite umane. Dobbiamo, però, anche ricordarci che non è stato l’unico caso analogo accaduto in Italia e in Europa e che tali nefasti accadimenti non hanno certo interessato solo il comparto autostradale. Cito un solo avvenimento e lo faccio perché, fortunosamente e fortunatamente, non ha provocato vittime: il crollo del ponte di Massa Carrara l’8 aprile del 2020.

La maggior parte dell’attuale rete stradale italiana è stata realizzata tra gli anni ‘60 e gli anni ’70 del secolo scorso, o prima. Si tratta di un argomento poco popolare, ma è una difficoltà che quotidianamente deve affrontare chiunque si trovi a gestire un’arteria stradale in Italia, come in quasi tutto il resto d’Europa e Nord America: da un lato infrastrutture datate, dall’altra la richiesta comprensibile ma pressante di non interrompere, o limitare, la circolazione. Il motivo è semplice e ci riporta al punto dal quale sono partito: le strade e le autostrade in particolare hanno un ruolo così centrale per la nostra economia che qualsiasi limitazione della loro funzionalità produce un danno rilevante.

La pandemia lo ha nuovamente dimostrato. Le autostrade hanno rappresentato il perfetto termometro dell’andamento dell’economia nazionale. Hanno registrato crolli inauditi di traffico fino al 90%, con impatti durissimi sui bilanci del comparto, ma hanno anche immediatamente mostrato la perdurante vitalità dell’economia italiana non appena il venire meno delle limitazioni alla circolazione ha permesso un progressivo ritorno alla normalità. Di più: oggi registriamo nelle nostre autostrade volumi di traffico superiori a quelli del 2019, l’ultimo anno Covid-free, segno che le persone hanno sì ricominciato ad andare in vacanza e spostarsi liberamente, ma preferiscono farlo con il mezzo privato, perché considerato più sicuro. In altre parole, se quest’estate l’economia turistica italiana è tornata rapidamente a livelli pre-crisi, ciò è dovuto alla rete autostradale italiana, che si è fatta trovare pronta ad accogliere milioni di turisti stranieri ed italiani. Molte delle nostre arterie sono state prossime alla saturazione, ma hanno retto l’onda d’urto e garantito ossigeno vitale a centinaia di migliaia di aziende che, dopo l’anno nero del 2020, hanno temuto di dover chiudere per sempre.

Insomma, se è doveroso non nascondere quanto non ha funzionato e farsi tutti parte attiva perché certi nefasti episodi non abbiano più a ripetersi, dobbiamo anche affermare con tranquilla fermezza che l’ondata di discredito che ha investito il nostro comparto negli ultimi anni non è stata solamente ingenerosa, divenendo talvolta finanche uno strumento di facile demagogia a basso costo, ma è stata soprattutto irrispettosa della verità.

La sfida del futuro

Ora, ripartendo da una visione oggettiva della realtà autostradale italiana presente, ciò che dobbiamo fare è rivolgere lo sguardo al futuro, perché quello che ci attende non è la riproposizione inerziale dell’esistente, ma una svolta storica le cui proporzioni e il cui grado di successo dipendono anche da noi concessionari autostradali. Di fronte alle pesanti incognite imposte dallo scenario pandemico che stiamo vivendo e di fronte alla straordinaria e irripetibile stagione di investimenti che un rinnovato spirito europeo ha reso finalmente possibile, l’Italia ha saputo reagire accantonando gli interessi particolari e mettendo a fattor comune le proprie, talvolta sorprendenti, risorse. L’esecutivo attualmente in carica, guidato da una figura di indubbio spessore internazionale come Mario Draghi, ha indicato con chiarezza l’approssimarsi di una stagione di investimenti paragonabile, per mole e potenziale di innovazione, solo a quella del dopoguerra. Se le speranze non verranno deluse, la potente leva finanziaria europea non sarà utilizzata dall’Italia per alimentare il consenso attraverso sterili strumenti di assistenzialismo, ma per far fare al Paese in pochi anni passi che avrebbero richiesto, nella migliore delle ipotesi, decenni. Nessun dubbio circa il fatto che l’ammodernamento del sistema Italia passi anche e soprattutto dall’ammodernamento della propria rete infrastrutturale e – perdonatemi se mi ripeto – la rete autostradale italiana è di gran lunga la prima infrastruttura che serve la mobilità del Paese. Nessuno ignora che ogni euro investito in infrastrutture genera per lo meno un valore aggiunto triplo e se non vogliamo che l’ulteriore esposizione generata pesi come un macigno sulle spalle delle nuove generazioni, allora è negli investimenti produttivi che va concentrato l’enorme potenziale liberato dai Paesi dell’Unione.

La transizione ecologica e digitale

Gli investimenti, anche quelli nelle infrastrutture, non sono tutti uguali e, anche di questo, pare avere piena contezza il governo. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si muove intorno a sei punti cardine, i primi tre sono: digitalizzazione, transizione ecologica e infrastrutture per una mobilità sostenibile. Detto altrimenti, i primi tre dei sei punti cardine di quel Piano parlano di noi. Se pensiamo che la rete autostradale italiana nel 1973 era la prima in Europa con i suoi 4.700 chilometri e che oggi, a cinquant’anni di distanza, abbiamo faticosamente raggiunto i 7.000 chilometri, superati ormai da molti altri paesi, parlare di nuove autostrade non può essere un tabù. Tuttavia, la priorità nel 2021 non è tanto realizzare migliaia di chilometri di nuove autostrade, ma provvedere ad un profondo ammodernamento di quelle esistenti, rendendole idonee ad una trasformazione dall’attuale essenza di semplici vie di transito passive a infrastrutture in grado di ottimizzare la propria capacità alla stregua di ramificate rotaie capaci di condurre a destinazione, in modo sicuro e ordinato, un numero maggiore di veicoli di nuova generazione, che velocemente si affacciano sul mercato, promuovendo nel contempo la graduale transizione dall’attuale paradigma energetico basato sull’uso di combustibili fossili a quello che vede il diffondersi di motori elettrici la cui carica provenga da fonti rinnovabili di energia.

Il conseguimento del primo obiettivo, la digitalizzazione della rete autostradale, non sarà mai possibile senza cospicui investimenti. Perché, se lo sviluppo delle nuove tecnologie ICT può essere trasferito nella produzione di veicoli con costi tutto sommato relativi, l’analogo sviluppo della rete stradale avrà costi molto elevati. Tuttavia, se vogliamo imboccare la strada della sostenibilità, non ci sono alternative. Solo la digitalizzazione della rete stradale e autostradale, infatti, ci permetterà di aumentare enormemente la loro capacità senza un sistematico e potenzialmente interminabile consumo di suolo e ci permetterà finalmente di offrire tempi certi di percorrenza all’utenza. In questi ultimi anni abbiamo già avuto occasione di vedere un primo esempio di proiezione verso un futuro diverso della gestione della rete. Il comparto ha infatti prodotto ingenti sforzi per individuare un modello di previsione e analisi della vita utile delle infrastrutture, al fine di poterne pianificare al meglio manutenzioni e adeguamenti strutturali.

Allo stesso modo, solo la loro digitalizzazione ci consentirà di abbattere quel tasso di incidentalità che abbiamo sì ridotto drasticamente negli ultimi anni, ma che da qualche tempo sembra aver raggiunto una preoccupante stabilizzazione della curva, dovuta essenzialmente all’incomprimibilità del fattore umano. Detto altrimenti, finché sistemi digitali di controllo non potranno intervenire nella conduzione del veicolo, fattori umani come l’uso di alcol e droghe, i colpi di sonno, o la più comune delle distrazioni come l’uso del cellulare alla guida semineranno ancora vittime innocenti sulle nostre strade.

Quanto al cambio di paradigma energetico necessario per fronteggiare la drammatica avanzata del cambiamento climatico, anche in questo caso la collaborazione con il governo potrà metterci nelle condizioni di diffondere in modo capillare diverse e sempre più efficienti modalità di ricarica dei veicoli elettrici alimentati da idrogeno verde o da batterie ad accumulo. La sfida che ci aspetta non riguarderà quindi solo la creazione di una rete capillare di punti di ricarica dei veicoli ad idrogeno verde, ma anche la produzione e lo stoccaggio dello stesso.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dà un peso rilevante alla ferrovia. Questo non può e non deve spaventarci, né indurre in noi atteggiamenti difensivi. Non può, perché sappiamo quanto valiamo e quanto resteremo centrali anche nei prossimi decenni. Non deve, perché ci offre un’ulteriore opportunità di sviluppo. La mobilità di domani è per forza di cose una mobilità intermodale, già oggi è così. Sta a noi attivarci da subito per far sì che il binomio gomma-rotaia si traduca in una relazione di reciproco vantaggio e non si esaurisca nella contrapposizione manichea che qualcuno alimenta tra la panacea di ogni male e il suo contrario.

I “cantieri di confronto” da aprire subito

All’interno di questa visione d’insieme, della quale confido che Aiscat possa rappresentare il soggetto di sintesi, ritengo ci siano alcuni “cantieri di confronto” che vadano subito aperti. Mi riferisco all’esigenza di attivare dei tavoli di confronto tra l’Associazione e il Mims per uniformare l’interpretazione di alcune circolari e linee guida la cui applicazione risulta a tutt’oggi incerta. Penso alla razionalizzazione delle competenze amministrative in materia di verifiche e controlli, che vede oggi una sovrapposizione disfunzionale di soggetti pubblici preposti. Immagino, inoltre, che l’Associazione possa farsi promotrice di un confronto più stretto con Anas e altri gestori di infrastrutture non necessariamente autostradali. Aggiungo, infine ma non certo per importanza, che sarebbero decisamente auspicabili la semplificazione degli iter approvativi dei progetti, un fattore che indebolisce la competitività dell’intero sistema Italia, e la semplificazione dei processi di approvazione e affidamento delle gare d’appalto.

Conclusioni e appello all’unità

Prima di concludere, vorrei innanzitutto ringraziare chi mi ha preceduto. Senza il lavoro di Fabrizio Palenzona, non solo la rete autostradale italiana non sarebbe quella che oggi è, ma non avremmo nemmeno quell’interlocuzione che, attualmente, ci permette di immaginare un futuro libero da ingenerosi stereotipi sul nostro comparto. Da ultimo, aggiungo una considerazione, quella che tra tutte mi sta più a cuore. Ho accolto con convinzione la richiesta di dare la mia disponibilità in questo ruolo in un momento non semplice per il comparto e farò la mia parte per tutto il tempo necessario ad organizzare il lavoro dell’Associazione in vista delle notevoli sfide che ci si prospettano all’orizzonte. Sono, però, fermamente convinto del fatto che un compito così grande e così importante come quello che ci attende non potrà in alcun modo essere svolto individualmente da nessuno di noi, nemmeno dalle associate più strutturate. Siamo un’eccellenza mondiale nella realizzazione e nella gestione di autostrade, la nostra rete è una sola. Una e unita deve essere anche la nostra voce e, nel rispetto delle particolarità di ciascuno, la visione inclusiva con la quale porteremo avanti una stagione di riqualificazione del sistema infrastrutturale italiano, se non faremo errori, sarà studiata nei contesti accademici.

Grazie